Il sentiero finiva lì,
davanti a un strapiombo che nemmeno il più esperto degli alpinisti avrebbe
saputo scalare a mani nude. Troppo lontano il bivio che mi aveva messo di
fronte a una scelta; troppo folto il bosco sulla sinistra per intraprendere un
percorso alternativo. Alzai lo sguardo verso il sole e lo fissai come si fissa
un orologio a pendolo quando si è in attesa di un appuntamento: il verdetto fu
spietato. Il rosso del crepuscolo si stagliava tra le foglie degli alberi,
mentre un vento fresco cominciava a solleticare i rami, pizzicandoli come corde
stonate di violino. Fissai ancora una volta lo strapiombo; mi voltai indietro
per ripercorrere mentalmente la strada fatta; restai un attimo fermo a fissare
le foglie e i sassi sul sentiero come se cercassi nella terra una soluzione. Respirai
a fondo quell’aria che si stava facendo sempre più fredda e la trattenni un
secondo di troppo nei polmoni; mi venne da tossire; mi piegai su di me per
tornare a respirare senza affanni ma continuai a tossire. Il sole si stava spegnendo
sempre più velocemente. Cominciai a correre verso il bivio dietro di me mentre
pensavo a come avevo fatto a sbagliarmi. Conoscevo quelle montagne come le mie
tasche, eppure quel bivio non c’era mai stato; quella roccia che tagliava il sentiero
in due non l’avevo mai vista. Mio padre mi aveva raccontato tutti i segreti di
quelle montagne che credevo ormai fossero amiche. Non avrei dovuto però
dimenticare la frase che mio padre mi diceva sempre: “la montagna è un alleato
se segui le sue regole, ma se le infrangi può diventare il più tremendo dei
nemici”.
Mi tornò in mente anche
lo sguardo severo mentre pronunciava quelle parole. Era vero, avevo infranto le
regole non seguendo il sentiero che conoscevo, avevo sfidato la montagna con la
folle consapevolezza di conoscerla alla perfezione. Ancora un colpo di tosse,
mi voltai di scatto. Cominciai a correre sempre più veloce, una gara contro il
sole che ad ogni passo regalava sempre più meno luce. Con il buio della notte
non avrei mai trovato la strada verso casa, ma ormai la luce era sempre più
foca. Il bivio era lontano almeno un ora di cammino, il sole non mi avrebbe
aspettato. Una spinta in più per dare le ultime energie alle mie gambe che
ormai si muovevano da sole, indolenzite, leggere che quasi erano un corpo
diverso, staccato dalla mia volontà.
Non riuscivo più a
vedere dietro di me, il buio aveva inghiottito la strada che mi aveva portato
verso il nulla. Davanti a me un sentiero che avevo percorso ma che nell’ombra
non riconoscevo. Cercai di controllare la respirazione mentre la mia mente
lottava per scacciare l’idea di passare la notte lì, tra le braccia della mia
più tremenda nemica, che mi avrebbe stritolato e poi nascosto per sempre.
Mi tornò per un attimo
alla mente la notte che passai tra quelle montagne con mio padre e mi venne il
folle desiderio di averlo lì in quel momento. Lui avrebbe saputo cosa fare e
non si sarebbe scomposto. Avrebbe affrontato la montagna e avrebbe vinto. Io non
sapevo cosa fare. Accamparmi lì era un suicidio. Il vento gelido della notte mi
avrebbe bruciato la pelle. Il sole era fuggito via. Mi fermai un attimo immerso
nel buio. Davanti a me il nero che non ricordavo. Dietro di me il nero che mi
aveva sedotto. Affianco a me alberi e cespugli nemici. Nemmeno un rumore che
potesse aiutarmi e guidarmi. Solo un assordante silenzio rotto appena dalle
note di rami spostati dal vento.
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